Il difensore

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Gioco a calcio per passione, faccio il difensore.
Il mio compito è quello di bloccare gli attaccanti avversari. Certo, non ho il fascino del fuoriclasse pieno di iniziative che fa anche gol, ma è il mio ruolo.

A volte mi passa per la testa di uscire dalla mia area di rigore e spingermi in avanti in cerca di gloria. Però mi sento spaesato, non è il mio ambiente e l’occhiataccia del mister conferma il mio disagio. Non è il caso di insistere, anche perché commetto uno svarione che per poco non ci fanno gol. Non azzardo più, e nemmeno il più bravo psicologo del mondo riuscirebbe a convincermi del contrario. E poi, devo obbedire al mister, faccio parte di una squadra io, e lui ne è il direttore. Sono un lungagnone, al posto delle gambe ho due leve che aziono alla lunga distanza.

Devo essere bravo tatticamente e pronto ad anticipare l’avversario, perché se ne incontro uno corto e rapido non lo prendo più. Ho dalla mia anche una discreta tecnica che mi consente interventi puliti e a volte anche eleganti. Però, come si dice, la lingua batte dove il dente duole. La mia mente disegna giocate e traiettorie formidabili che il resto del corpo non può permettersi. E allora faccio di necessità virtù, mi consolo a fare il difensore che per me non è solo una questione fisica, ma anche e soprattutto espressione del mio carattere, nel calcio e nella vita. A fare il difensore oramai sono abituato, e in verità trovo il ruolo anche più democratico rispetto agli altri. Perché io difendo il mio orticello, lotto per la sopravvivenza, perché mi provocano, perché vogliono farmi fesso.

E io non sono fesso, lo faccio, a volte per quieto vivere, perché non mi cambia la vita fare il contrario. Io mi sento nel giusto perché sono un difensore, d’altronde basterebbe che l’attaccante girasse a largo e non succederebbe niente, è lui che viene a provocarmi. La partita è importante, giochiamo contro la prima in classifica. Il destino ha voluto che l’affrontassimo da secondi, a un punto di distacco proprio all’ultima giornata di campionato. Loro sono fortissimi, più esperti di noi, gli basta un punto, per noi conta solo la vittoria. È dura però, abbiamo rischiato di capitolare già in più di un’occasione, in una in particolare ci ha salvato il palo. Ho i crampi allo stomaco per la tensione, di fronte ho due degli attaccanti più veloci che abbia mai incontrato. Mi stanno facendo girare la testa, ma sto limitando i danni. In un impeto di orgoglio provo anch’io un’azione sulla fascia, mi salvo grazie al mio compagno che evita a me una figuraccia e guai peggiori alla squadra.

Torno indietro proprio nel momento in cui il nostro fuoriclasse con una staffilata mette la palla sotto l’incrocio della porta avversaria. Manca un quarto d’ora alla fine della partita, siamo in paradiso. Ma dopo un po’ alla gioia di un gol sudato subentra la paura di non farcela. Stringo i denti, come i miei compagni, faccio parte di una squadra vincente e in una squadra vincente c’è bisogno di tutti, anche di un bravo difensore. Dubito che io sia un bravo difensore, però sono stato scelto come capitano.

Sono stanco quando, a una manciata di secondi dal fischio finale della partita, una carambola fa sì che la palla rotoli in direzione della nostra porta. Mentre i miei compagni e tutta la panchina si mettono le mani in testa, io aziono le mie lunghe leve e mi lancio verso un incredibile salvataggio. Spazzo la palla una frazione di secondo prima che la stessa varchi la linea di porta. Il grido di gioia degli avversari rimane strozzato nelle loro gole, mentre io vengo sommerso dagli abbracci dei miei compagni, del mister e di tutta la panchina. Siamo campioni e questo è il mio gol, e lo sarà sempre. Anche quando mi passerà per la testa di spingermi in avanti in cerca di gloria.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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